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L’affido del cane è spesso oggetto di contenzioso in caso di separazione

ROMA – Il quadro normativo forse non è proprio adeguato alla bisogna ma insomma: qualche riferimento c’è. La giurisprudenza, poi, si va formando via via che mutano gli stili di vita, ma non certo allo stesso ritmo. Fatto sta che quando la coppia scoppia si sa: ci vanno di mezzo i più piccini. E a volte si tratta di cani, gli amici di una vita condivisa che si trovano a dover stabilire nuovi equilibri in una nuova situazione. Quale? Dipende. Se la ex coppia trova un accordo, ok. Se però deve pensarci il giudice, come funziona?Storica nella materia, per l’Italia, rimane la sentenza con cui, l’11 giugno 2008, il Tribunale di Cremona sdogana anche per il cane l’affido congiunto stabilendo che «tutte le garanzie che sono previste per l’affido condiviso dei figli minori siano specularmente applicate per i cani».

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Se non c’è accordo tra le parti, il giudice deve decidere tenendo conto del benessere del cane

Mettendo definitivamente una pietra sopra al concetto di cane come res, come ‘cosa’ posseduta, quel pronunciamento dei giudici equipara, di fatto, lo status di animale d’affezione a quello dei figli. Del resto, pare proprio questa l’intenzione autentica del legislatore nel momento in cui – è il 2009 quando la senatrice Chiaromonte presenta il disegno di legge 1392 – dopo il Titolo XIV del Libro I del codice civile aggiunge il Titolo XIV bis: degli animali, che all’articolo 455-ter (Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi) recita: “In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dall’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all’affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio”. E’ chiaro: avere intestato il microchip del cane di casa non determina, secondo la legge, automaticamente il titolo a ottenerne l’affido in caso di separazione; c’è da tener conto del fatto relazionale.

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Nella nuova situazione anche il cane deve ristabilire nuovi equilibri

«Ad un civilista duro e puro – spiegano Giovanni Chiricosta e Giorgia Crea dello Studio Legale Chiricosta & Crea di Enna – parrebbe ovvia la soluzione di seguire il regime economico dell’animale che dunque andrebbe al proprietario, come risultante dai registri dell’anagrafe canina. Ma l’iscrizione all’anagrafe canina non è in alcun modo equiparabile all’iscrizione di un veicolo al PRA, per cui chi risulta intestatario dell’animale dai registri dell’ASL veterinaria non necessariamente ne è anche proprietario dal punto di vista civilistico, perché l’anagrafe canina ha principalmente lo scopo di quantificare la popolazione canina e di individuare un essere umano responsabile in caso di danni. In altri – tristi – casi l’iscrizione all’anagrafe canina è stata utilizzata dagli ufficiali giudiziari per pignorare, ebbene sì, l’animale al debitore». Il punto, riflettono Chiricosta e Crea, è che «più che il ‘titolare’ del cane conta il padrone, concetto che non deriva dal diritto civile, ma dall’etologia, ossia il soggetto che il cane riconosce come proprio padrone, e che potrebbe anche non coincidere con il proprietario».

Andando avanti, nel 2013 arriva in parlamento la proposta di legge 795 dell’onorevole Michela Vittoria Brambilla. Con essa si propone di aggiungere al codice civile l’articolo 155-septies che, dopo una prima parte che ricalca il dettato del 455-ter, esplicita che: «In caso di affido condiviso, salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei detentori provvede al mantenimento dell’animale da compagnia in misura proporzionale al proprio reddito. In caso di affido esclusivo il mantenimento è a carico del detentore affidatario». L’idea non appare punto fantasiosa, secondo Chiricosta e Crea che rilevano come essa vada nella direzione di risolvere un problema pratico frequente a cui il nostro ordinamento non offre risposte certe: «Non siamo animalisti quanto forse l’onorevole Brambilla – affermano dallo studio legale di Enna – ma siamo convinti che l’uomo, la dignità umana e i diritti umani debbano essere il punto di partenza e di arrivo di qualunque discorso di diritto positivo. Tuttavia riteniamo anche che il rispetto, se non l’amore, per gli animali sia una delle più elevate manifestazioni di umanità».

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